Zamboni Giuseppe Nato a Arbizzano (VR), 1º giugno 1776 Morto a Verona, 25 luglio 1846) è stato un abate, fisico e docente di fisica, padre dell’elettromotore perpetuo. E’ conosciuto come l’inventore, nel 1812, della pila a secco. Con due di queste pile costruì un orologio custodito nel Museo di Storia dell’Arte di Modena.
Nel liceo classico Maffei di Verona, dove l’abate Giuseppe Zamboni (ritratto a sinistra) operò per 40 anni (1806-1846), insegnando la Fisica a tre generazioni di veronesi. La è conservata la prima pila “a secco” inventata, costruita e “formata” dallo Zamboni nel 1812.
Dai suoi carteggi con altri ricercatori risulta che aveva fatto i primi esperimenti con la pila di Volta (inventata da Alessandro Volta nel 1799) già nell’anno 1800. Uno dei suoi principali intenti era rendere più efficiente, durevole e maneggevole la pila appena inventata dal suo connazionale.
La pila di Zamboni è molto simile alla pila a colonna di Volta ma in luogo dei dischi metallici di rame e zinco presenta dei dischi di carta di due tipi, detti d’oro e d’argento, i primi di rame, i secondi di una lega di stagno e zinco. Poiché la carta a contatto dell’aria si inumidisce, non è necessario alternare alle coppie metalliche i dischi imbevuti di acqua acidulata. I dischi sono infilati in un’asta centrale di alluminio che termina con un gancio.La pila è in grado di erogare corrente di bassa intensità; offre tuttavia il vantaggio di una durata sensibile grazie alla possibilità di impilare un numero altissimo di dischi di piccolo spessore.
Attorno al 1812 Zamboni mandò alcune lettere ad Alessandro Volta, da cui ricevette tra l’altro alcuni suggerimenti sui materiali da utilizzare. Zamboni fece diversi esperimenti, realizzando pile composte da 2000 e più dischetti fatti una carta speciale, chiamata “carta d’argento”, carta su un lato della quale era stesa una sottile lamina di stagno o di una lega di rame e zinco detta tombacco.
Tali dischetti venivano spalmati sull’altro lato con sull’una pasta di carbone di legno dolce polverizzato, impastato con acqua o lavorato con acido nitrico. Come consigliatogli da Volta, Zamboni sperimentò successivamente con successo l’ossido di manganese sciolto in acqua insieme a colla d’amido. I dischi venivano infilati in un tubo di vetro verniciato dentro e fuori con un prodotto isolante. La poca umidità dell’aria che riusciva a penetrare il sistema era sufficiente a scatenare la forza elettromotrice. Le tensioni raggiungibili con questo sistema potevano andare dal centinaio di volt a qualche migliaio, anche se con un amperaggio bassissimo, sull’ordine dei microampere.
La pila a secco veniva utilizzata quasi esclusivamente nell’elettroscopio di Bohnenberger o nel cosiddetto moto perpetuo di Zamboni.
Questo strumento è stato ideato da J.J. von Bohnenberger (1765 – 1831) nel 1815. Una foglia d’oro, fissata ad un supporto metallico terminante con una sferetta, è sospesa tra due piatti metallici verticali, collegati ai terminali di una pila a secco di Zamboni, alloggiata nella parte inferiore dell’elettroscopio.
Se la foglia viene caricata (per contatto tra la sferetta e il corpo di prova carico), essa viene attratta dal piatto eteronomo e respinta dal piatto carico dello stesso segno.Le deviazioni della foglia indicano il segno della carica e l’intensità dei potenziali in gioco.
Lo strumento, modificato nel 1850 da W. Hankel che lo rese quantitativo, rappresenta il primo esempio di elettrometro funzionante in modo eterostatico, cioè con un campo elettrico ausiliario.
L’esemplare mostrato, dotato di custodia, è stato costruito da Zamboni e donato all’Istituto di Fisica di Roma.